mercoledì 21 maggio 2014

Marcovaldo (Guardiani dei paragrafi: Dionís e Miguel Ángel)

Chi ha l'occhio, trova quel che cerca anche a occhi chiusi.
(la velleggiatura in panchina)


"Papà" dissero i bambini, "le mucche sono come i tram? Fanno le fermate? Dov'è il capolinea delle mucche?"

"Niente a che fare coi tram" spiegò Marcovaldo, "vanno in montagna."
"Si mettono gli sci?" chiese Pietruccio.
"Vanno al pascolo a mangiare l'erba."
"E non gli fanno la multa se sciupano i prati?"

(Viaggio con le giucche)

Marcovaldo si portava ogni giorno il pranzo in un pacchetto di carta da giornale; seduto sulla panchina lo svolgeva e dava il pezzo di giornale spiegazzato al signor Rizieri che tendeva la mano impaziente, dicendo: – Vediamo che notizie ci sono, – e lo leggeva con interesse sempre uguale, anche se era di due anni prima.
Così un giorno ci trovò un articolo sul sistema di guarire dai reumatismi col veleno d'api.
Sarà col miele, – disse Marcovaldo, sempre propenso all'ottimismo.
(La cura delle vespe)

Un giorno, sulla striscia d'aiola d'un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi. Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lí prendeva ogni mattina il tram.

Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l'attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto.

(Funghi in città)


Alle sei di sera la città cadeva in mano dei consumatori. Per tutta la giornata il gran daffare della popolazione produttiva era il produrre: producevano beni di consumo.
(Marcovaldo al supermarket)


   Le vie e i corsi s'aprivano sterminate e deserte come candide gole tra rocce di montagne. La città nascosta sotto quel mantello chissà se era sempre la stessa o se nella notte l'avevano cambiata con un'altra? Chissà se sotto quei monticelli bianchi c'erano ancora le pompe della benzina, le edicole, le fermate dei tram o se non c'erano che sacchi e sacchi di neve? Marcovaldo camminando sognava di perdersi in una città diversa... 
(La città smarrita nella neve)


Se continuava a fare dei muretti così, poteva costruirsi delle vie per lui solo, vie che avrebbero portato dove sapeva solo lui, e in cui tutti gli altri si sarebbero persi. Rifare la città, ammucchiare montagne alte come case, che nessuno avrebbe potuto distinguere dalle case vere. O forse ormai tutte le case erano diventate di neve, dentro e fuori; tutta una città di neve con i monumenti e i campanili e gli alberi, una città che si poteva disfare a colpi di pala e rifarla in un altro modo
(La città smarrita nella neve)

– Papa, quel bambino è un bambino povero? – chiese Michelino.
Marcovaldo era intento a riordinare il carico del furgoncino e non rispose subito. Ma dopo un momento, s'affrettò a protestare: – Povero? Che dici? Sai chi è suo padre? È il presidente dell'Unione Incremento Vendite Natalizie! Il commendator...
S'interruppe, perché non vedeva Michelino. – Michelino, Michelino! Dove sei? – Era sparito.
(I figli di Babbo Natale)

Un giorno di nevicata, nel giardino erano tornati tanti gatti come fosse primavera, e miagolavano come in una notte di luna. I vicini capirono che era successo qualcosa: andarono a bussare alla porta della marchesa. Non rispose: era morta.
(II giardino dei gatti ostinati)

“Trovarono ancora funghi per tuttie, in mancanza di cesti, li misero negli ombrelli aperti. Qualcuno disse: sarebbe bello fare un pranzo tutti insieme!- Invece ognuno prese i suoi funghi e andò a casa propria.
Ma si rivedero presto, anzi la stessa sera, nella medesima corsia dell´ospedale, dopo la lavatura gastrica che li aveva tutti salvati dall´avvelenamento: non grave, perché la quantità di funghi mangiate da ciascuno era assai poca.
Marcovaldo e Amadigi avevano i letti vicini e si guardavano in cagnesco.”
                                                                                                Cap. 1 “funghi in città”

“Marcovaldo stava dicendo ai suoi pazienti:- Abbiate pazienza, adesso arrivano le vespe,- quando la porta s´aperse e lo sciame invase la stanza. Nemmeno videro Michelino che andava a cacciare il capo in un catino d´acqua: tutta la stanza fu piena di vespe e i pazienti si sbracciavano nell´inutile tentativo di scacciarle, e i reumatizzati facevano prodigi d´agilità e gli arti rattrappiti si scioglievano in movimenti furiosi.
Vennero i pompieri e poi la croce rossa. Sdraiato sulla sua branda all´ospedale, gonfio irreconoscibile dalle punture, Marcovaldo non osava reagire alle imprecazioni che dalle altre brande della corsia gli lanciavano i suoi clienti.”
                                                                                                 Cap. 5 “la cura delle vespe”

“Con in corpo il calore del vino, Marcovaldo camminò per un buon quato d´ora, a passi che sentivano continuamente il bisogno di spaziare a sinistra e a destra per rendersi conto dell´ampiezza del marciapiede (se ancora stava seguendo un marciapiede) e mani che sentivano il bisogno di tastare continuamenti i muri ( se ancora stava seguendo un muro). La nebbia nelle idee, camminando, gli si diradò; ma quella di fuora restava fitta.”
                                                                                              Cap. 12 “la fermata sbagliata”

“- Ma sui prati ci estavi? Quando le bestie pascolavano?...
- Non s´aveva mai tempo.  Sempre qualcoasa da fare. Per il latte, le lettiere, il letame. E tutto perché cosa? Con la scusa che non avevo il contratto di lavoro, quanto m´hanno pagato? Una miseria. Ma se ora vi credete che ve ne dia a voi, vi sbagliate.”


                                                                                    Cap.10 “un viaggio con le mucche”


Nessun commento:

Posta un commento