Quando i due gemelli erano ancora piccoli e
Michela ne combinava una delle sue, come lanciarsi con il girello delle scale
oppure incastrarsi un pisello su per una narice, che poi bisognava portarla al
pronto socorso per farglielo estrarre con delle pinze speciali, loro padre si
rivolgeva sempre a Mattia, il primo ad aver visto la luce egli diceva la mamma aveva l’utero
troppo piccolo per tutti e due.
“Chissà che avete combinato dentro quella pancia”
diceva “Mi sa che froza di dare calci a tua sorella le ahi procurato qualque
danno serio”.
“È l’unica cosa che so fare” disse lui, peano.
Avrebbe voluto dirle che studiare gli piaceva perché puoi farlo da solo, perché
tutte le cose che studi dirle che le pagine dei libri di scuola hanno turre la
stessa temperatura, che ti lasciano il tempo di scegliere, che non fanno mai
male e che tu non puoi far loro del male.
Ma rimase in silenzio.
Denis pensò che a lui non piaceva nessuna delle
quattro, che voleva soltanto ache si levassero da davanti e lo lasciassero tornare
da Mattia. Che gli restava soltanto un’ora per stare con lui e per guadarlo
esistere anche di notte, nell’ora in cui, solitamente, non poteva fare altro
che immaginarselo nella sua stanza, a dormire sotto lenzuola di cui non
conosceva il colore.
Veniva ogni giorno a fare nulla. Le infermiere si
occupavano già di tutto. El suo ruolo era quello di parlare a sua madre,
immaginava. In molti lo fanno, si comportano come s i malati fossero in grado
di asclotare el pensiero, in grado di capire chi sta in piedi di fianco a loro
e dialoga nella propia testa, come se la malattia potesse aprire tra le persone
un diverso canale di percezione.
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