1 La solita vita
(p.29)
Ero uno studente modello. Ultimo anno
di giurisprudenza, in anticipo con gli esami, tesi in diritto penale quasi
pronta e sul libretto nessun voto inferiore al trenta. A giugno mi sarei
laureato e poi avrei deciso cosa fare. Carriera universitaria o concorso in
magistratura. Tutto molto chiaro, molto netto, molto regolare. Stavo con Giulia
da quasi due anni. Aveva la mia stessa età, studiava medicina e avrebbe fatto
il medico, come il suo papà. Era minuta e carina. Piacevo molto alla sua mamma.
In realtà ero sempre piaciuto a tutte le mamme delle mie fidanzate.
Tutto andava per il meglio.
2 La truffa (p.36)
«Sai, la vita è piena di sorprese»
disse con tono vago e una strana espressione. Poi si alzò, raggiunse il banco
del bar e ritornò con un mazzo di carte francesi. Tolse le carte fino al sei,
mischiò e si mise a distribuire come se al tavolo fossimo in quattro e
dovessimo giocare. A poker. Quando ebbi davanti a me le cinque carte coperte mi
disse di guardarle.
«Che significa?»
«Guarda le tue carte. Facciamo finta di
fare un'altra mano.»
Le guardai. Erano quattro donne e
l'asso di cuori. Rimasi paralizzato, mentre lui scopriva le carte che aveva distribuito
agli altri giocatori immaginari. Uno dei due fantasmi aveva poker di dieci.
«Che... che cazzo significa?»
balbettai, quasi, e a bassa voce, dopo essermi guardato intorno.
«La fortuna è una entità mutevole. È
elastica. Accetta anche di fare dei favoritismi, se sai come chiedere.»
«Stai dicendo che hai barato, stasera?»
3 La
giustificazione (p.39)
Messa in quei termini la questione
cambiava totalmente, pensai. Non si trattava più di una banale truffa a danno
di due inconsapevoli, onesti, occasionali compagni di gioco. Era una specie di
atto di giustizia sostanziale, e io non ero il complice di un truffatore, ma il
compagno di Robin Hood.
4 Doppia
personalità (p.48)
Mentre raccontavo quei fatti, in quel
modo, avevo la percezione nettissima che la mia vita si stava spaccando a metà.
Una parte normale e un'altra, in una zona d'ombra di cui non avrei potuto
parlare con nessuno. In quel momento seppi che avevo una doppia vita.
E pensai che mi piaceva.
5 Tittolo (p.66)
Mi fermai a quella immediatamente
precedente il prologo. C'era una citazione, da uno scrittore inglese. Non
conoscevo nemmeno quello.
"Il passato è una terra straniera:
le cose avvengono in modo diverso da qui."
...
Era un romanzo bellissimo e struggente,
pieno di nostalgia e di ebbrezza. La storia di un ragazzo francese e della sua
giovinezza nell'America degli anni Cinquanta. Una storia di avventure, di tabù
violati, di iniziazioni, di vergogna, di amore e di innocenza perduta.
Per tutto il pomeriggio non riuscii a
staccarmi da quel libro; fino a quando non ebbi letto l'ultima pagina. E per
tutta la lettura, e alla fine, e dopo – anche dopo tanti anni – non riuscii a
liberarmi della incredibile sensazione che, in qualche modo, quella storia
parlasse di me.
6 Mr. Hyde o la nuova vita (134)
Baro alle carte, ho smesso di studiare,
progetto di scoparmi signore quarantenni, spezzo il cuore ai miei genitori.
Direi che è tutto.
7 Violenza (p.163)
Fui colto da una sensazione che
assomigliava al panico.
Ma era anche molto diversa. Alla paura,
alla vergogna si mescolava una specie di ottusa, ignominiosa, inconfessabile
esultanza. Quella che si prova esercitando un potere quasi assoluto su un altro
essere umano.
Non sapevo cosa fare. A Gino tremava il
mento, come a un bambino che sta per mettersi a piangere e cerca disperatamente
di trattenersi. Il ciuffo pendeva patetico e sembrava un'appendice posticcia.
Sentii qualcosa crescere veloce, percorrermi incontrollabile come un'onda
d'acqua che scorre violenta lungo tubature troppo strette. E alla fine lo
colpii anch'io. Gli diedi uno schiaffo, meno forte di quello di Piero, ma forte
comunque e sullo stesso lato della faccia.
8 Tutto sotto
controllo (p.183)
Va bene — mi dissi — ho vissuto questo
periodo folle. Ho fatto delle cose incredibili. Cose che non avrei mai creduto
di poter fare. Ho camminato sul filo e per fortuna non sono caduto. Adesso
facciamo questo viaggio e alla fine ricomincio la mia nuova vita. Che poi sarà
la mia vecchia vita, anche se diversa. Ho visto com'è dall'altra parte. Ho
fatto l'esperienza. Fra poco sarà ora di tornare a casa.
«Cocaina?»
Sei impazzito? Stavo per aggiungere, ma
mi sembrò una cosa banale.
Inadeguata all'enormità di quello che
mi aveva appena detto. Allora lasciai quella parola da sola, appesa al mio
stupefatto punto di domanda.
10 La colpa (284-285)
Solo ora, forse, riesco a spiegarmi
questa cosa. Allora era impossibile. La percezione di me stesso in quei fatti
si era fermata al momento in cui Francesco mi aveva proposto di violentare
insieme una ragazza. Al momento in cui aveva delirato sulla violenza ancestrale
e tutto il resto. La mia vergogna per non essere stato capace, l'ennesima
volta, di dire di no, mi si era pietrificata dentro. Quella mia colpa mi
sembrava enorme, e visibile a tutti.
Alla ragazza, per prima.
Il fatto che mi fossi messo a lottare
per difenderla, in un impasto di paura, vergogna e desiderio di distruzione,
non contava niente. Ero inchiodato alla mia colpa. A tutte le mie colpe e per
questo non avevo provato nemmeno a dire niente ai carabinieri che mi pestavano.
Per me, ero colpevole come se l'avessi davvero violentata.
11 Il ritorno (p.295)
Poi, senza una ragione precisa ripresi
a studiare. Come un automa.
Esattamente due anni dopo quella sera,
mi laureai. Alla seduta di laurea c'erano solo i miei genitori, mia sorella e
una zia. Non ci fu nessuna festa. Non era rimasto nessun amico da invitare.
Dopo continuai a studiare, come un automa. Andai a fare il concorso per
diventare magistrato e lo vinsi. Adesso faccio il pubblico ministero.
Contribuisco a mandare in carcere quelli che commettono reati. Come le
estorsioni, il gioco d'azzardo, le truffe, il traffico di droga.
A volte mi vergogno, per questo.
A volte penso che dal passato salti fuori qualcosa – o
qualcuno – e mi risucchi. Per farmi pagare il conto.
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